App, tablet e bambini.





Ho sempre guardato con poca comprensione chi lascia il proprio cellulare in mano a bambini molto piccoli ancorati al passeggìno, ancora incapaci di sgambettare ma abili nel saper avviare la canzoncina preferita dall'iPhone di mammà, come palliativo per tenerli "occupati".
L'ho sempre trovata come un'esagerazione, come se il pargolo, per non frantumare le sfere all'universo adulto, debba per forza autosospendersi in un limbo tutto virtuale proiettato da un piccolo display.
Niente strilli, strepiti, capricci e un "Ragazzo, tieni e non rompere" è sempre stato il messaggio che un po' mi pareva di cogliere.
Poi è arrivato mio figlio.
Nonostante usi (o abusi, questo post è anche un mea culpa, che si sappia) il cellulare per connettermi quotidianamente alla rete dove leggo,  lavoro, mi documento ma anche (forse soprattutto) mi sollazzo, ho sempre evitato di utilizzarlo con lui come strumento di distrazione di massa, fatta qualche rarissima eccezione per scattare foto o fargli vedere qualche immagine o qualche video in viaggi epocali e massacranti  nei mezzi pubblici (noi che non abbiamo l'auto, caro Ulisse, ci fai un baffo!).

E così son passati quattro meravigliosi anni, dove mio figlio è cresciuto "abbastanza" preservato dalla tecnologia, preferendo i suoi giochi fatti di fantasia, immaginazione, di didó, macchinine e dinosauri.
Fino a questa estate: agosto ha sancito il cambiamento radicale.
Approfittando di un attimo di distrazione ed agguantato in un secondo l'iPhone, i suoi occhietti vispi e ridenti son stati subito attirati dall'icona accattivante e colorata del giochino sugli animali che, mesi prima, avevo scaricato per lui (ve l'ho detto no, mea culpa all'ennesima potenza): posato il polpastrello sopra l'app nulla più è stato come prima!
Come nei migliori anime giapponesi gli occhi gli si son, inizialmente, fatti piccoli, increduli, sorpresi per poi esplodere in un scintillio degno del cosmo.
Ha iniziato con la prima app in un crescendo di giochi e difficoltà: a quelle più "rudimentali" hanno fatto seguito giochi sempre più difficili come puzzle, labirinti, prove di memoria, logica e così via.
"Mamma tablet" era (ed è) il mantra dall'alba al tramonto e quel che sempre più mi ha spaventato si è concretizzato: la tecnologia ha preso il sopravvento!
Addio ai libri, alle fiabe, alle nostre letture, al didó, alle costruzioni, alle gare con le macchinine e alla battaglia di dinosauri?
Ma no!
Ma ne abbiamo già parlato qui il segreto non sta nel vietare l'oggetto dei desideri, che si sa comporta sempre ad un risultato contrario a quello sperato, ma educare all'uso di un mezzo che, attraverso lo scintillio dello sguardo di mio figlio, ho trovato portentoso.
Scandire il tempo dedicato ai giochi sul tablet, spiegargli quando si può e quando no ma soprattutto il perché, scegliere giochi in tema con le letture che magari amate fare la sera prima di andare a letto (animali e dinosauri ci accompagnano sia nel cartaceo reale che nel virtuale), provare a fare puzzle sullo schermo e poi assieme con quelli che avete abbandonato sul cesto dei giochi sono solo qualche esempio.





Dategli voi l'impronta giusta, il senso di un uso responsabile ed utile per se stesso, perché sia una possibilità da amalgamare ad altre dove toccare, manipolare, muoversi, creare, pensare, esplorare, vedere e sentire non si riducano in un corpo adulto flaccido e fermo davanti ad uno schermo ma che possa confidare in una continuità nelle varie esperienze, con contaminazioni tra reale e virtuale come elementi complementari per la propria cresciuta alla scoperta di sé e del mondo.
Che poi alla fine di tutto questo discorso vi capiti, dopo aver messo a nanna l'erede, stanchi ma finalmente sicuri di sprofondare paciosi sul divano per godervi l'ennesima replica del vostro telefilm preferito, di trovare il canale  bloccato da un pin inserito ad hoc e capire finalmente perché il pargolo trafficasse con il telecomando con fare terroristico, la dice lunga sui cosiddetti nativi digitali.


Sylvia Baldessari

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