Quando l'inclusione diviene occasione.




Il mio interesse verso i disturbi dell'apprendimento (DSA) e dell'attenzione-iperattività (Adhd) mi porta a cercare di continuo del materiale, sia online che cartaceo, per rimanere al passo con tutte le novità su studi e ricerche inerenti a questi due grandi tematiche.
La navigazione nei Social Network, poi, risulta essere quotidiana: in particolar modo Facebook, offre  l'occasione di incrociare numerosi gruppi dedicati a questi temi, gruppi il più delle volte costituiti e gestiti da genitori con figli Dsa o Adhd.



Frequentandoli, mi sono resa conto di come, molto spesso, lo spazio di condivisione venga utilizzato più come una sorta di mero "sfogatoio pubblico digitale", dove gli iscritti riversano la propria amarezza derivante da un rapporto, non propriamente idilliaco, con una scuola poco propensa al dialogo e ad accettare le certificazioni o i pdp (piano didattico personalizzato) necessari per una doverosa inclusione scolastica, diritto che dev'essere sempre e comunque garantito a qualsiasi studente.







Tuttavia, se ben gestiti e moderati, i gruppi Facebook permangono uno strumento social molto importante, soprattutto se lo scambio di informazioni e di materiale risulta essere molto intenso, andando così a creare una fitta rete di conoscenza digitale estremamente utile e di facile consultazione.


La quale, talvolta, si sposta nel territorio concretizzandosi in iniziative e progetti a livello locale.


Se devo essere sincera, anche la parte emotiva  dello sfogo "ci sta": se intelligentemente gestita si può rivelare, attraverso l'interazione con il gruppo, una sorta d'azione di mutuo-aiuto e di sostegno derivante dalle esperienze difficili ma comuni a tutti i partecipanti.



Insomma, se gestito bene, il gruppo diviene un elemento importante di supporto per tutti i genitori coinvolti al suo interno e valido aiuto per gli stessi. 




Ed è proprio su uno di questi gruppi che mi è capitato di leggere l'amara vicenda di una mamma che confidava lo sconforto, suscitato da una lettera, contenente la richiesta di allontanare il figlio, Adhd certificato, dal gruppo classe.


Richiesta partita da altri genitori, trovando il ragazzo in questione un "serio" ostacolo per un tranquillo e sereno svolgimento delle lezioni per tutti gli altri alunni, a causa dei suoi problemi comportamentali.


Devo dire che la  cosa mi ha rattristato moltissimo, non solo come pedagogista ma anche come madre. Sentimento che si è poi amplificato nel trovare nei vari commenti al post, altre testimonianze simili, vissute da altri genitori ai danni dei loro figli certificati Adhd.


Ma questi genitori, sì proprio quelli che hanno scelto di richiedere l'allontanamento "dell'elemento disturbante" dalla classe dei figli, sono così sicuri di aver agito bene?

Sono fortemente convinti che "spostare" altrove il problema sia una valida soluzione?


Che creare un clima omogeneo a "campana di vetro" possa essere la mossa vincente?





LA NOSTRA È UNA SOCIETÀ COMPLESSA





La nostra è una società complessa caratterizzata da un forte e fitto scambio di informazioni, dove i confini (non solo quelli geografici) si son assottigliati sempre più, avvicinando una moltitudine di persone culturalmente diverse. La tecnologia e la migrazione virtuale di massa sul web, in termini sia personali che professionali, caratterizzano in questa società un mercato del lavoro che in sé non può che rispecchiare le medesime qualità della rete: immediato, creativo, innovativo e che richiede enormi capacità di adattamento e di trovare, in un brevissimo lasso di tempo, la soluzione a più problemi.





LA NOSTRA È UNA SOCIETÀ COMPLESSA POICHÉ L'ESSERE UMANO È COMPLESSO.





L'individuo, unico e irripetibile, seppur per molto tempo si sia adeguato a un sistema produttivo basato sulla quantità e sulla standardizzazione della qualità, è oggi richiamato ad affrontare una grande rivoluzione: emerge e si realizza chi per primo trova una risposta a un bisogno collettivo, poiché è su questo che si basa la nuova richiesta. Trovare soluzioni a necessità che giorno per giorno nascono dai continui mutamenti del sistema, ormai governato da un rapido accesso ai contenuti, alle informazioni e ai beni di consumo.





LA NOSTRA È UNA SOCIETÀ COMPLESSA, DI INDIVIDUI CARATTERIALMENTE COMPLESSI, DOVE LE RELAZIONI SONO ALTRETTANTO COMPLESSE.





In uno scenario del genere, la relazione tra individui non potrà che trasportarsi addosso tutte le peculiarità appena descritte: l'interazione diviene un riflesso delle dinamiche che vanno a costituire il contesto. Per non lasciarsi travolgere, bisogna imparare sin da subito a pensare e ad agire in un ambiente, se non identico, molto simile a quello reale, perché sia l'individuo a plasmare e non lui a essere plasmato dalle circostanze.





Torniamo alla classe e al tentativo di allontanare e quindi di escludere da quest'ultima, il "problema".



Sicuramente tale alternativa diventa controproducente per i seguenti motivi:



- è una soluzione a breve termine.



Risulterà avvantaggiato invece chi imparerà guardare avanti, programmando a medio-lungo termine, tenendo conto di tutte le dinamiche presenti e che vanno a costituire la realtà sulla quale agiamo e ci relazioniamo.



- induce a pensare al singolo e non al gruppo



Una società è più civile quanto più contempla il singolo nel suo essere in gruppo, in relazione con gli altri, come comunità collaborativa e (auto)educante.  


Collaborazione, sinergia e condivisione sono le chiavi di volta per comprendere e vivere, in maniera consapevole e responsabile, questa nostra epoca dove il gruppo si alterna, sia su un piano fisico-reale che virtuale, allargandone il significato a uno più ampio e in continuo aggiornamento, creando un luogo fertile per innumerevoli occasioni di crescita e valorizzazione. Sia per il singolo individuo e di riflesso, anche per la stessa comunità della quale fa parte.


- eliminando dinamiche reali si va a snaturare l'ambiente d'apprendimento in uno privo di interferenze esterne.



Prima o poi i vostri figli usciranno dall'aula e dovranno confrontarsi, da soli, con ciò che è la realtà.





CONCLUSIONE:





Perché la scuola compia il suo dovere, che non è solo quello di trasmettere conoscenze ma anche competenze valoriali e relazionali, necessita dell'inclusione come modalità di approccio alla vita.


Escludere qualcuno perché ritenuto un problema, non è solo una soluzione umanamente riprovevole ma anche dannosa verso coloro che s'intende proteggere, poiché si andrà a togliere una grande occasione rendendoli, in futuro, maggiormente esposti al fallimento.





Ovvero,  essi non potranno confrontarsi con ciò che è altro da loro, perdendo l'opportunità di imparare che la vita è fatta di differenze, che da queste ci si può arricchire acquisendo nuove conoscenze e strategie adeguate per affrontare l'esistenza, dove il cambiamento e gli eventi non possono essere né previsti né programmati.



Escludere non significa solamente allontanare chi disturba; escludere significa soprattutto allontanare da sé opportunità e occasioni.




Quandosi toglie, si resta con meno...







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