Il significato della paura in educazione.



Un pomeriggio qualsiasi al Luna Park. Lo avevamo già portato due anni fa ma all’epoca era ancora troppo piccolo.
Anche allora si dimostrava caparbio ed attirato dalla grande struttura ludica gonfiabile indicò con l’indice l’entrata, con aria convinta.
Ci guardammo titubanti, però, decidemmo di lasciarlo fare anche se aveva meno di due anni.
Il giostraio non ci fece pagare l’ingresso, divertito da quella personale sfida che il bimbetto aveva lanciato alla scala in corda convinto di per poter raggiungere la cima del castello, godersi il panorama e infine la discesa giù, lungo il morbido scivolo.
Primo tentativo: non riesce a mettere entrambi i piedi sul primo piolo. Sporge in fuori il labbro inferiore.
Secondo tentativo: riesce a superare il primo piolo ma dei bimbi più grandi, per superarlo, lo fanno rimbalzare al punto di partenza. Le gote si tingono di un rosso acceso.
Terzo tentativo: riesce ad arrampicarsi fino al secondo piolo ma le forze gli vengono meno soprattutto quando subisce l’ennesimo sorpasso da quelli più grandi, rotolando di nuovo al punto di inizio. L’epilogo è la classica esplosione di rabbia alla Paolino Paperino!
Il giostraio si intenerisce, noi lo riprendiamo tra le nostre braccia e lo consoliamo con un giro sulla giostra delle macchinine che lenisce un poco il dolore per la gran sconfitta subita, dolore che poi sparirà totalmente con lo zucchero filato offertogli dal padre.
Due anni più tardi, e quindi arriviamo a sabato scorso, torniamo nel medesimo Luna Park e rivede la scala maledetta: è la prima giostra in cui chiede, anzi, pretende di andare.
Questa volta nessuna difficoltà o sorpasso che tenga, riesce a raggiungere la cima veloce, agile e nel caso non lo sia abbastanza non si farà sorpassare da nessuno creando non poca fila.
Giunto a destinazione inizia lo spettacolo: in viso ha un’espressione estasiata di chi sa che ce l’ha fatta ma ancora inconsapevole che si trova solo a metà del viaggio con tutte le incognite del caso. Questa, infatti, muta totalmente quando lo sguardo percorre la discesa che lo separa da terra realizzando, quanto sia, in effetti, “notevole” l’altezza e gli occhi si spalancano nel classico e lampante ” E ora?”
Un bambino della sua stessa età piange disperato perché giunto alla medesima conclusione un attimo prima e sta seduto in un angolo, in bilico, per niente convinto di scivolare giù.
Lui lo vede, gli s’avvicina e gli mette una mano sulla spalla in segno di solidarietà. Lo conosco bene, io, il mio frugoletto e so perfettamente che dietro al quel suo tentativo di aiuto ci sta, in realtà,  l’intenzione di convincere in tutti i modi il malcapitato coetaneo a buttarsi giù per primo in modo da constatarne su di lui le conseguenze (ah i bambini!).
Questo non si smuove, imperterrito, continuando a piangere fino a quando due bimbi più grandi giungono interrompendo l’attimo di suspance creatasi all’interno del castello gonfiabile.
Uno scivola giù ridendo come un matto, l’altra, una ragazzina, va a porsi dietro il virgulto in lacrime rassicurandolo sul fatto che andranno giù assieme e che tutto andrà bene.
Il mio non ha perso una mossa e notando come il primo sia sceso incolume si convince e parte, seguito dagli altri due.
Io riprendo tutto con il cellulare ma il mio sguardo va oltre la schermata perché si sa che in questa epoca siamo così indaffarati a filmare tutto che ci perdiamo l’attimo vivo, quello più emozionante e significativo e io invece voglio raccoglierlo, imprimerlo bene in testa per narrarlo alla generazione futura quando sarà il momento: mio figlio ha il volto sfigurato da un’espressione di puro terrore quando raggiunge il massimo di velocità in discesa ed è così buffa la sua faccia da farci scoppiare a ridere, risate che alla fine si mescolano alle sue e a quelle dell’altro bambino ormai consapevoli  che, nonostante tutto e la paura, a loro non è successo nulla se non provare quella forte emozione di sentirsi così vivi da desiderare di ripetere l’esperienza.
Infatti lui, il mio piccolo scalatore, la ripeterà per ben quattordici volte!
Tutti abbiamo paura, in qualunque momento della nostra esistenza e nei contesti più diversi ed è normale averne poiché ci permette di esitare e in quell’istante riflettere per essere consapevoli, attenti e vigili.
Ma la troppa paura ci può anche imprigionare, impedendoci di sentire quella sensazione di gioia che si prova nel superare i propri confini, capendo che questi son ancora più ampi in attesa d’essere ancora una volta superati, con un nuovo viaggio di scoperta nelle selvagge ed inesplorate terre del proprio Io.
Questo vale sempre, perché non finiamo mai di crescere, conoscere e capire e la vita è troppo breve per lasciare che sia la Paura a prevalere.
Nel caso basta ricordare che, se proprio non riusciamo a lasciarci andare da soli verso l’infinito che ci attende, potremmo sempre  contare su chi ci stringerà la mano decidendo di scivolare assieme verso il futuro senza rimpiangere, un giorno, di non averci almeno provato.
Questo è il valore della paura in educazione: non averne ci espone scioccamente agli eventi, esserne schiavi ci impedisce di vivere al massimo delle nostre potenzialità e talenti.
La paura è quell’esatto momento in cui si prende coscienza di sé e dei propri limiti, l’attimo in cui si decide di affrontarli e superarli per poter diventare altro, nel nome di quel meraviglioso e continuo divenire che è l’essere umano.
La paura può essere educativa solo se da essa ne traiamo insegnamento, forza e risorsa nel sapersi mettere in gioco, alla prova ed uscirne diversi, più forti.
Chiudo questa mia riflessione con la seguente citazione: ”Ho imparato che il coraggio non è l’assenza di paura, ma il trionfo su di essa. Coraggioso non è chi non prova paura, ma chi vince questa paura.”
Nelson Mandela.
Un uomo coraggioso ma con la stessa paura di tutti.





Questo articolo è stato pubblicato su TuttoPerLaMamma.it ed è un tentativo di continuare una riflessione nata nel precedente post Il senso della morte nei bambini (e non solo).
L'inizio di un viaggio, dunque, provando ad affrontare il tema dell'educazione ai sentimenti ed alle parole.

Sylvia Baldessari

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