COSPLAY: arte ludica contemporanea - Intervista ad Anna Castelli e Don Oscarez.
Avevo già avuto il piacere di chiacchierare con Anna Castelli, affrontando assieme il tema del Cosplay, fenomeno nato molti anni fa in Giappone e da lei definito forma d'arte, oggi molto diffusa anche qui in Italia.
Ma 'sta volta scivoliamo dentro a questa dimensione artistica attraverso il breve saggio che Anna ha scritto, in collaborazione con Don Oscarez suo marito e fotografo professionista.
E non lo faremo solo anticipandovi ciò che potrete trovare in questa breve ma piacevolissima lettura, che spiega le origini del Cosplay in un intreccio dove cultura orientale e occidentale si specchiano, trovando le proprie similitudini, ma anche provando a guardarlo da un punto di vista educativo:
Il Cosplay, in quanto arte ed espressione di sé, sfumatura teatrale che avviene in un dato momento e in un preciso luogo, che impone l'uso del proprio corpo come maschera e dell'immagine per catturare l'essenza di un istante, può in un certo senso rientrare in un percorso educativo?
Buona lettura.
Anna, hai scritto "Cosplay, arte ludica
contemporanea". Di cosa parla il libro e come nasce l'idea?
Il libro è un breve riassunto dalla conferenza che ho tenuto a Venezia
il 22 febbraio 2014 al Museo di Arte Orientale di Ca’ Pesaro. Era da tempo che
riflettevo sull’opportunità di dar voce a questo fenomeno che sta ricevendo
così tanta attenzione in Italia e dargli finalmente la giusta definizione: arte
ludica contemporanea. La dottoressa Spadavecchia, direttrice del museo, mi ha
dato l’opportunità d parlarne assieme al mio collega dottor Mauro Trevisan,
storico d’arte orientale come me. Ne è venuto fuori un appuntamento che ha
animato il museo e interessato i visitatori.
Ricordiamo cos'è il cosplay?
Il cosplay è la pratica di indossare i panni del proprio
eroe preferito, di solito in ambito di cartoni animati, film e fumetti, ma in
generale di qualsiasi cosa possa rientrare nell’immaginario collettivo.
Qual è il ruolo di Don in questa pubblicazione?
Don Oscarez ha prestato la sua fotocamera per illustrare il
libro, ritraendo alcuni dei più attivi cosplayers italiani.
Quale messaggio trasmette una persona che si cimenta nel
cosplay?
Innanzitutto la sua passione per un determinato personaggio,
un modo “interattivo” di rendere omaggio a colui che lo ha fatto emozionare dandosi
da fare a costruire costumi e accessori e a interpretarne le movenze e gli
atteggiamenti. Poi sicuramente aggregazione, perché il fenomeno del cosplay è fatto
di raduni in cui i cosplayers, che di solito si scambiano idee e opinioni
attraverso i social network, colgono l’occasione per conoscersi per la prima
volta o ritrovarsi dal vivo, trascorrendo una piacevole giornata in compagnia.
In Italia cosplay significa anche competizione, perché le gare sono molto
agguerrite, ma il “tutti contro tutti” è una peculiarità della nostra nazione.
Secondo te il cosplay può essere
inserito in un contesto educativo e se sì, perché?
Più che educativo, direi terapeutico: il potere della
maschera per giocare con l’espressività e assaporare una magia da cui possono
emergere ed enfatizzarsi impronte caratteriali profonde che altrimenti
rimarrebbero celate dalla personalità imposta dalla vita di tutti i giorni.
Don, perché come fotografo professionista hai scelto di
immortalare cosplayer?
Perché il ritratto, tra tutte le categorie fotografiche,
presuppone una grande empatia con il soggetto: molte delle persone che fanno
cosplay racchiudono una serie di emozioni che è affascinante far emergere
nell’istante dello scatto. Inoltre conosco questo tipo di arte dalle ricerche
di mia moglie, quindi mi è venuto naturale incuriosirmene e approfondirne la
conoscenza… anche dall’altra parte dell’obiettivo: io stesso a volte faccio
cosplay nel ruolo del Fantasma dell’Opera, di pirata o di Coppelius, una sorta
di scienziato pazzo che ho interpretato durante uno spettacolo di teatro-danza.
Quale messaggio vuoi inviare attraverso le tue foto?
Il messaggio che la bellezza è in ognuno di noi, esente da
Photoshop: nei miei ritratti non troverete mai cosplayers irriconoscibili dal
vivo, perché lavoro sempre con il minimo di post-produzione. Voglio che ognuno
ritrovi se stesso nella bellezza che indossa, quella data dalla naturalezza,
dalla serenità, dalle risate spontanee. Vorrei inoltre che il patrimonio
storico / architettonico italiano venisse valorizzato nella maniera che merita,
per quello tento sempre di ritrarre i miei cosplayers con sfondi importanti
come siti storici e città d’arte: cultura pop e cultura storica mano nella
mano, per ricordare che oriente e occidente possono essere combinati in un melting-pop formativo.
Secondo te, la fotografia educa e se sì, come?
Vorrei ricordare cosa pensava della fotografia Henri Cartier
Bresson:
“A volte c’è un’unica immagine la cui struttura compositiva ha un tale
vigore e una tale ricchezza e il cui contenuto irradia a tal punto al di fuori
di essa che questa singola immagine è in sé un’intera narrazione.”
Ecco, a me
piacerebbe molto che le mie foto educassero all’ascolto di questa narrazione,
perché sono convinto che non necessariamente “si ascolti” solo con l’udito.
Anna, mettiamo caso che con questa intervista abbiamo
incuriosito qualcuno: dove può trovare il tuo libro?
Ho qualche copia cartacea a casa e sarei felice di scambiare
due parole con chiunque la voglia acquistare (scrivetemi a annasilvia76@gmail.com per trovarci a
qualche raduno e averne una copia), altrimenti la trovate in ebook e cartaceo direttamente
dal sito di Collana Imperium
Anna Castelli
E in rete, dove è possibile rintracciarvi?
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