"PADRI IMPERFETTI", il libro di Alessandro Curti.


Oggi ho il piacere di presentarvi "Padri imperfetti" scritto da Alessandro Curti.
Buona lettura.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao Alessandro, oltre ad essere l'autore di "Padri imperfetti" e blogger, cosa fai nella vita?
 
Ciao a te e a tutti coloro che ci leggeranno.
Nella vita sono un educatore-pedagogista cioè uno che di professione si occupa di educazione, principalmente nell'area minori-famiglie. È un lavoro che faccio da vent'anni, ma non sono vecchio. Semplicemente ho cominciato da giovane. Molto, molto giovane.
Poi sono anche un padre e un marito: due occupazioni che sono arrivate in un secondo tempo e che hanno cambiato il mio modo di vedere il mondo, le prospettive e le angolature da cui osservo e affronto ogni situazione.
Tutto questo occupa il 90% del mio tempo.
La scrittura, di conseguenza, è una sorta di passione che prima coltivavo solo nella mia testa, come aspirazione. Un giorno ho preso il coraggio a due mani e ho cominciato a scrivere un blog dove racconto quello che occupa quotidianamente la mia vita: educazione professionale e naturale.
Dal blog al romanzo il passo è stato [quasi] breve: quando mi sono accorto che i lettori del blog tutto sommato apprezzavano il mio stile di raccontare le cose mi sono deciso.
E ho cominciato a scrivere un qualcosa di più lungo di un post.
 
Il tuo libro offre diversi sguardi sulla paternità, ma non solo: ce ne vuoi parlare?
 
Questo libro parla di paternità in scacco” è una delle frasi della prefazione di un libro che tenta di raccontare le paternità in difficoltà, quelle che incontro quasi quotidianamente nella mia vita professionale e con le quali mi confronto. Ma la paternità, in generale, sta vivendo un momento di grande cambiamento, una crisi che spero porterà ad una necessaria evoluzione, ad una ridefinizione del ruolo e dell'importanza che noi padri abbiamo nel processo di crescita dei nostri figli.
Ma “un padre è sempre, anche, un figlio e il suo esser padre non può che dover fari i conti coll'averne avuto uno. Anche quando non lo si è avuto, proprio perché non lo si è avuto.” Quando sono diventato padre ho dovuto affrontare una crisi seria: volevo essere un padre “sufficientemente buono” ma non sapevo se avevo gli strumenti per divenire tale. E da professionista dell'educazione mi sono ripetuto che solo l'esperienza insegna e mi sono guardato intorno. Ho cercato di osservare meglio che potevo tutte le differenti paternità che incontravo per poter formare, per imitazione o esclusione, il mio essere padre. Vien da sé che la prima paternità con cui mi sono confrontato è quella che ho vissuto nel mio ruolo di figlio. Ecco perché lo sguardo sulla paternità non può prescindere dall'immagine del padre che ognuno di noi ha avuto e di conseguenza del figlio che è stato.

Perché hai sentito la necessità di scrivere "Padri imperfetti"?
 
Perché, come dicevo poco fa, l'esperienza insegna. Ed ho pensato che valesse la pena di condividere anche la mia esperienza professional-personale, così che qualcuno potesse – per assonanze o differenze – trovare nuovi stimoli di riflessione.
Quella che io propongo, infatti, è un'immagine imperfetta della paternità, da cui attingere quello che si preferisce, quanto più ci appartiene.
La perfezione non è di questo mondo.
 
Nel libro vengono raccontare quattro storie, genitori e figli a confronto, storie che hanno solo un'unica cosa in comune: Andrea, il protagonista. Soffermiamoci su quest'ultimo spiegando chi è e cosa fa nella vita.
 
Andrea è un educatore che viene chiamato ad affrontare delle situazioni di crisi, ad accompagnare e sostenere dei processi evolutivi con gli strumenti professionali di cui, nel corso degli anni, si è dotato. Collabora con diversi Servizi di Tutela Minori, cioè quegli Enti che su mandato del Tribunale per i Minorenni progettano ed attuano interventi educativi in favore di minori. Ma un intervento educativo non è mai solo a favore di un singolo, quanto dell'intero sistema familiare che lo circonda. Ed è proprio in questi sistemi familiari, spesso in grande difficoltà, che Andrea deve muoversi.
Ma Andrea è anche (e forse soprattutto) un uomo che non può, non deve dimenticare la sua dimensione umana. Se poi pensiamo che l'uomo-educatore è anche un padre... be', immaginate quali emozioni possano caratterizzarlo. A rischio di travolgerlo.
 
Ti sei ispirato a qualcuno per il lui?
 
Può essere che questo romanzo sai un po' autobiografico. Forse.
 
Come vedi il ruolo dell'educatore oggi?
 
Super-domandona! L'educazione sembra vivere un momento di grossa crisi, perché risente della carenza di modelli dominanti significativi. E l'ovvia conseguenza è che anche gli educatori stiano vivendo un momento non facile. Parlo spesso con educatori, mi confronto con colleghi anche attraverso il web e vedo una grossa dicotomia: da una parte quelli che l'educazione la vogliono fare, con interesse, con passione e con una grande capacità autocritica; dall'altra ci sono quelli che la vivono solo come un lavoro e, di conseguenza, faticano a proporla, a respirarla, a farla propria. So che le mie affermazioni potrebbero non piacere. Anzi, so che certamente non piaceranno ai più. Ma di una cosa sono fortemente convinto: l'educazione professionale non è di tutti, non è per tutti. Fino a quando non si comprenderà appieno questo, il ruolo educativo sarà sempre in crisi, perennemente “secondo” ad altre professionalità.
 
Invece il ruolo del padre: cosa è cambiato da ieri e come viene visto ora, secondo te?
 
Wow, se la domanda precedente era difficile questa pare impossibile! Oggi, secondo me, il padre non ha un ruolo ma è, nella migliore delle ipotesi, alla ricerca di un ruolo. Abbiamo (giustamente) abbandonato l'immagine di padre autoritario che ha contraddistinto gli uomini fino a circa un trentennio fa, frutto della corretta rivalutazione dell'immagine femminile che la rivoluzione sessuale ha portato. Ma l'uomo – per pigrizia, inerzia o codardia – ha faticato a trovare una sua nuova collocazione sociale e familiare. Il meglio che si è riusciti a partorire, fino a qualche anno fa, era la figura del “mammo”. Una triste e incompleta fotocopia della mamma. Le cose però stanno cambiando, gli uomini si sono ridestati e hanno cominciato a rivendicare (in ritardo di un trentennio rispetto alle loro compagne) un ruolo nella cura e nell'educazione dei figli.
Il cammino probabilmente sarà lungo e irto di pericoli, ma la volontà sembra non vacillare...
 
La prefazione del libro è stata scritta da Igor Salomone, consulente pedagogico, scrittore e docente universitario.
 
Un professionista che stimo. L'ho incontrato in Università: lui era il docente ed io il discente. Mi ha entusiasmato con il suo carisma e con il suo stile di scrittura: semplice, diretto, concreto ma pensato, mai lasciato al caso. A tratti dissacrante ed ironico.
E poi è un padre anche lui, un padre particolare.
Timidamente gli ho chiesto se aveva voglia di scrivere la prefazione... no, in realtà sono stato un po' più subdolo: visto che sua moglie era un'attenta lettrice e commentatrice del mio blog ho lavorato di sponda ed ho chiesto a lei di farsi portavoce della mia richiesta.
D'altra parte si sa: dietro ad ogni uomo di successo c'è sempre una gran donna.
 
Cosa significa scrivere per te?
 
Scrivere ha diversi significati per me. Il processo narrativo ha un ruolo importante per la riflessione pedagogica: mettere nero su bianco dei pensieri o dei concetti ti obbliga a riformularli, ad estraniarli da te per farli diventare soggetti indipendenti. Penso che tutti gli educatori dovrebbero esercitare la narrazione e l'autobiografia perché sono strumenti fondamentali per distaccare il pensiero dall'azione che, come professionisti, è sempre in primo piano e rischia di fuorviarci, di travolgerci.
E poi la scrittura è anche un processo creativo, dove l'impossibile può diventare probabile, verosimile.
Ad un livello più personale, quasi egoistico forse, scrivere è anche lasciare una traccia di sé.
Chi arriverà in fondo al mio romanzo e leggerà i ringraziamenti probabilmente riuscirà a capire il perché.
 
Dove possiamo trovare te e il tuo libro?
 
Se mi cercate nel mondo reale armatevi di pazienza: la mia professione ed il mio essere perennemente inquieto mi portano in un sacco di posti. È difficile starmi dietro.
Nel web sono invece un po' più statico.
Potete trovarmi sul mio blog Labirinti Pedagogici, TwitterFacebook o  Linkedin.
Il mio libro invece è reperibile sul sito Koipress, su tutti i grandi store digitali (Amazon, Kobo, Google books, Ibs. iTunes...) o direttamente dall'autore scrivendo una mail a padriimperfetti@gmail.com.
Recensioni, immagini, riflessioni e domande si possono trovare sulla Pagina Facebook.
Aspetto lì tutti i vostri commenti. Positivi o negativi che siano. Se costruttivi fanno sempre crescere.
Grazie.

Vorrei condividere con voi alcune riflessioni su questo libro, non solo perché l'ho trovato piacevole, ma anche perché ho qualcosa in comune con Andrea, il protagonista, ovvero la professione di educatore, un lavoro molto difficile da diversi punti di vista. 
Il libro non vi darà una chiara definizione su questo mestiere ma è attraverso la sua lettura che riuscirete ad afferrare la complessità di questo importante e necessario ruolo professionale.
In un momento in cui la perfezione imperversa come modello da seguire ad ogni costo, sempre e comunque, Alessandro Curti ci riporta alla realtà facendo emergere dalle sue storie le difficoltà che la vita ci impone, imperfezioni dovute a delle scelte talvolta volute, altre subite ma che rimangono per l'appunto umane e dalle conseguenze imprevedibili.
I protagonisti del libro son chiamati ad affrontarle, ritrovandosi "nudi" e indifesi davanti a una realtà che non contempla un unico modo d'essere ma che ci chiede, nell'incertezza dell'esistenza, di saper ritrovare noi stessi, dando senso al nostro quotidiano, un senso intenzionale e consapevole.
Un libro da leggere e che consiglierei ai giovani studenti di Scienze dell'Educazione, perché sappiano che il mestiere che andranno a fare richiede  spesso l'umile capacità di sapersi mettersi in discussione. Ma anche a tutti quei genitori che si rimproverano di non essere perfetti, perché possano, dalle loro debolezze, ripartire e non per raggiungere la perfezione, beffarda chimera, ma per dare il meglio di loro nella più grande prova che son chiamati ad affrontare: quella di essere padre e madre.


 



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