Politica, un valore da insegnare ai piccoli.


Questo articolo è stato scritto poco dopo le ultime elezioni elettorali ed è stato pubblicato in origine su TuttoPerLaMamma.it


Mi piacerebbe parlare di politica.
Ma il tema è insidioso, soprattutto in tempi come questi, e chi mi segue sa che non ho mai pronunciato parola, giudizio o pensiero a tal merito preferendo sempre occuparmi d’argomenti strettamente collegati all’educazione.
Qualcuno però mi ha fatto notare che l’educazione non può estraniarsi dalla politica, anzi, esse son strettamente intrecciate nel processo di formazione della persona, nel suo ruolo di cittadino e nella responsabilità che questo comporta.

Ma come fare per non cadere nel solito monologo dove espongo le mie idee ritrovando infine una moltitudine di risposte, più o meno concordanti o in totale contrasto, anche polemico?
Come si fa a parlare di una educazione alla politica o di una politica che educa alla  senza entrare in aspre discussioni, il più delle volte sterili ed inutili?
Impresa ardua se si dà un’occhiata ai vari talkshow (nei quali avviene di tutto) o alle numerose reazioni del popolo della rete in forma di tweet, post, articoli ed immagini il più delle volte ferocemente sarcastiche, intrise di rabbia, indignazione e spesso (e mi duole dirlo) tendenti alla più becera forma di comunicazione come può essere l’insulto e la volgarità.
Siamo, in effetti, davanti ad un totale esempio, ed è duro ammetterlo, nel quale la politica non crea, né unisce, né trasforma ma distrugge, divide e fossilizza senza dare una possibilità all’educazione di emergere, affiancarla e condurre assieme le dinamiche nelle quali tutti ci troviamo coinvolti.

Proviamo a partire dalla etimologia, allora. Politica deriva dal greco πολιτικος, politikós ed il termine risale ai tempi di Aristotele e fa riferimento alla “Polis” che, sempre in greco, sta ad indicare la città, la comunità dei cittadini.
Aristotele citava ” L’uomo è per natura un animale politico” perché convinto che la politica significasse l’amministrazione della città per il bene di tutti, la gestione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipavano.
Quindi è un fatto che ci riguarda, impossibile da delegare ad altri perché ogni decisione, ogni scelta andrà non solo a trasformare quello stesso spazio in cui ci muoviamo tutti ma anche a plasmare il tempo nel quale siamo spinti e proiettati e che coincide con il nostro futuro.
Restando per un attimo ancorati all’antica Grecia concetti come virtù, libertà, felicità e la realizzazione di se stessi, seppur contemplati in maniera diversa dai massimi esponenti filosofi dell’epoca come Socrate, Platone edAristotele, hanno tutti un unico luogo dove poter essere appresi e vissuti ovvero nella Comunità.
Soprattutto per Aristotele l’educazione, fin dalla primissima infanzia, era strettamente necessaria per una buona maturazione delle capacità intellettive, che per lui si acquisivano solo con il passare del tempo, ed era fondamentale anche per la costituzione di uno Stato democratico dove, il poter essere felici (semplicemente realizzando se stessi) può avvenire solo all’interno di una comunità fondata sull’uguaglianza dei cittadini, dove si garantisce il diritto alla libertà ed alla vita.
Quando scrivo e parlo di educazione uno dei concetti fondamentali che spesso ripeto è proprio quello di realizzare se stessi, i propri sogni e le aspettative sfruttando e dando massimo sfogo alle capacità ed ai talenti insiti in ognuno di noi.
Quindi è necessario che il luogo in cui viviamo sia predisposto a questo e perché sia così dobbiamo fare in modo che lo sia per davvero, anche attraverso il nostro personale contributo.

Ma oggi è così?
Partecipiamo attivamente e in maniera costruttiva ad una Comunità  dove possiamo garantire la nostra e la altrui felicità?
Lasciamo la Grecia e attraversiamo il mare per ritornare qua in Italia: ho chiesto ad un’amica, appassionata di politica e rispettosa delle Istituzioni, quattro nomi di personaggi politici che, secondo lei, con la loro dedizione, l’agire e le idee hanno fatto la differenza nella storia di questo Paese.
Lei è la stessa persona che, durante un attimo di massimo sconforto in quest’ultimo periodo  pre-elettorale dove annunciai la mia decisione di rinunciare al voto, mi ricordò come questo significasse il lasciare in balia d’altri il mio futuro e quello delle persone da me amate.
In ogni modo, in risposta alla mia domanda mi ha elencato: Berlinguer, Almirante, Pertini e Iotti.
Conoscendone pensieri ed idee  le ho chiesto, stupita, il perché di un nome tra i quattro da lei elencati, quello di Almirante.
La risposta è giunta repentina “si può essere avversari politici, litigare di brutto, ma sempre intellettualmente onesti”.
Si riferiva a quando Almirante andò a dare l’ultimo saluto a Berlinguer, alla sua morte, rendendogli omaggio ai funerali.
E quando, per il bene e la stabilità del Paese, si incontrarono per dialogare ed arginare il fenomeno del terrorismo, una fra le più brutte pagine di storia del nostro Paese.
Due uomini, Berlinguer ed Almirante, impegnati anima e corpo a realizzare i propri intenti ma all’interno di una stessa Comunità condivisa e vista come il bene primario da preservare, mettendo da parte ideali ed aspirazioni per un bene più grande e comune nel momento del bisogno o nel riconoscere il merito dell’altro quando è stato doveroso farlo.
Dialogo ed esempio, quindi, come collante, punto d’incontro  tra  un’educazione volta a delineare il ruolo di cittadino e di una politica riflesso delle proprie convinzioni e pensieri.
È probabile che il nodo centrale della questione sia proprio il dialogo: punto cardine in ogni relazione educativa diviene altrettanto determinante nel poter agire nello spazio e nel tempo tenendo conto non solo dei propri bisogno ma anche di quelli degli altri.

E com’è il dialogo oggi?
Internet ed i Social Network permettono a chiunque di comunicare, tutti scrivono, discutono, parlano a suon di click dando l’idea di numerose opportunità di dialogo ed invece viviamo in un’epoca dove, nonostante i mezzi, le persone non dialogano fra loro preferendo comunicare i propri pensieri, le percezioni e le emozioni di quanto accade nel mondo politico in 140 caratteri o in striminziti post senza un vero e proprio scambio costruttivo, in virtuali monologhi.
La politica non è mediata dalla parola, il più delle volte è urlata, strillata in faccia all’altro, molto spesso trincerati dietro ad ideologie ferree che, nonostante appartengano al secolo scorso, continuano a persistere influenzando  il nostro oggi e non in maniera sapiente, tenendo conto degli insegnamenti che la storia ci ha fornito, ma solo per far prevalere il proprio concetto di appartenenza a qualcosa perdendo di vista il senso della realtà.
La Parola dunque, come precetto educativo ma anche politico per delineare l’orizzonte della vita, che permetta di far emergere concetti fondamentali quali la comprensione, l’ascolto ma anche il rispetto dei silenzi; la Parola come motore di un pensare teorico seguito sempre, poi, da un fare, dall’azione nel preparare ed adoperarsi per una Comunità pensata come luogo per una auto-realizzazione del singolo, ma immerso nelle relazione con gli altri aventi il medesimo diritto di compiere il proprio progetto esistenziale.
Una dialogo autentico, sincero e formativo volto ad invitare a riflettere e non a confondere, convincere o posto in maniera ambigua o subdola ma che permetta d’essere parte attiva, partecipante e consapevole della comunità.
«I cittadini devono potersi innamorare delle istituzioni e le istituzioni devono rendersi amabili».
Così ha dichiarato l’attuale presidente della Camera Laura Boldrini nel giorno della sua elezione, davanti all’intero Parlamento, rimandando ad un profondo e sincero bisogno di dialogo che permetta un reale avvicinamento e coinvolgimento dei cittadini alla politica.
Questa, allora, pare essere la grande sfida educativa del nostro tempo, riportare la parola, quella autentica che conduce al dialogo, base di ogni relazione affettiva e sociale, al centro dell’attenzione in un marasma di mezzi comunicativi che ne hanno disgregato il valore, connettendoci ad una Babele virtuale in preda al caos, dimenticandoci delle regole, delle procedure e del buon senso per uno stare bene con e assieme agli altri e del rispetto che dobbiamo ai simboli che da secoli ci rappresentano e che sono un tratto della nostra identità e che vanno a costituire lo Stato.

Potrei terminare qui e lasciare che altri prendano in mano la riflessione, ma so che se sei giunto sino a qua è anche perchè c’è un tarlo, un punto interrogativo che duole come un sassolino fastidioso dentro ad una scarpa e che ti spinge a chiederti una cosa…
Beh sì, i momenti di sconforto capitano nei periodi di gran confusione ma poi passano una volta che si comprende che una forma di dialogo, autentica, avviene soprattutto all’interno delle cabine attraverso la scheda elettorale.
Quindi la risposta è sì, ho votato.
E tu?

Sylvia Baldessari

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