#pedagogiaescuola - Insegnando serenità.
Ogni mese il gruppo Facebook "Educatori, Consulenti pedagogici e Pedagogisti" propone un tema, una riflessione educativa, alla quale partecipare con un proprio contributo scritto.
Una volta raccolti, quest'ultimi vengono ospitati e divulgati dal circuito blogger di Snodi Pedagogici
Il tema del mese di febbraio: Pedagogia e Scuola
"Con l'ingresso nel circuito scolastico i bambini smettono di essere “esclusiva proprietà” delle famiglie ed entrano a pieno diritto nella società come soggetti. Subito dopo il contesto educativo per eccellenza (la famiglia) è la scuola il luogo in cui bambini e ragazzi passano la maggior parte del loro tempo.
Come e quanto viene percepito dalla scuola e dai suoi attori il ruolo educativo che viene loro chiesto? Qual è l'anello mancante nel processo insegnamento-apprendimento? Come vivono la scuola coloro che ci lavorano?”
Buona lettura.
#PEDAGOGIAESCUOLA - Insegnando serenità
"Non ho mai insegnato nulla ai miei studenti
ho solo cercato di metterli nelle condizioni per imparare."
ho solo cercato di metterli nelle condizioni per imparare."
(Albert Einstein – fisico del XX secolo)
“Metterli nelle condizioni per
imparare…”: ancora mi frullano in mente le parole di Albert Einstein, mentre
sto per iniziare a scrivere quest’articolo e mi domando quali siano queste
condizioni.
Vorrei partire, quindi, da un
dato numerico, per sviluppare la mia opinione sul tema proposto, così da
entrare in medias res, senza fronzoli introduttivi, nel cuore della questione:
36 o 30 ore[1]
su 96 ore mediamente vissute da svegli
(tenendo conto di 8 ore di sonno medie) sono le ore che i nostri ragazzi
(“figli e alunni” a seconda dei punti di vista) trascorrono a scuola, in quella
che è la porta d’ingresso della società complessa e rizomica dei nostri
anni’10.
Il 40% del tempo vissuto da
svegli è un “tempo scuola”, un tempo spesso vissuto come avulso dalla realtà,
da quanto richiede la società sopra citata;
un tempo talvolta non fruttifero, quanto a sviluppo sereno e naturale di
competenze sociali, il “know how”, che i nostri ragazzi porteranno con sé anche
oltre i 19 anni, anno della “maturità”, come un “artificiale dna”, una “liquida
app”, sviluppata nel corso di tredici anni di studi, che dovrebbe permettere loro di districarsi nella
“ragnatela virtual-reale” dei futuri decenni.
In che modo i nostri ragazzi
varcano quella porta e si muovono in un sistema che li vede interagire con
altri ragazzi, che hanno altre narrazioni, altri vissuti, altri colori, che
presto si mescoleranno, assumendo nuove, cangianti e diverse tonalità?
Non sempre serenamente: le
aspettative del primo nucleo di società (la famiglia), il non sentirsi
accettati dagli altri pari grado oppure il non vedersi “pari” a loro per
capacità di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze e sviluppo successivo
di competenze possono essere fattori limitanti lo spontaneo muoversi oltre le
“scolastiche porte” e d’impedimento al libero nuotare verso lidi diversi da
quelli di partenza (scolasticamente scrivendo), quasi come degli Ulisse spenti
e svuotati, che restano ad Ogigia, invece di mettersi in gioco.
“Fatti non foste per vivere come
bruti, ma per seguir virtù e conoscenza..”, verrebbe da scrivere, citando e
parafrasando il Sommo Poeta, ma noi
cosa ne pensiamo? Come fare a evitare di far vivere e fiorire i nostri ragazzi
in serre o recinti virtuali (la scuola per certi aspetti, anche quella 2.0),
senza gustare il profumo della conoscenza creata dal dialogo discente-docente
(la scuola per altri aspetti, anche quella 2.0)?
“La serenità prima di tutto”: ok,
ma… chi dovrebbe facilitare il raggiungimento di quest’obiettivo?
Non ho usato a caso questo verbo
(“facilitare”), perché quelle che un tempo erano le medievali “Auctoritas”,
oggi autorevolmente sono scese dalla “rialzata cattedra” degli anni cinquanta e
sono divenuti i diversi nodi, “hub”, che tengono insieme i fili, che permettono
agli alunni di camminare (“facilmente”) con consapevolezza e pensiero critico
e non liquido, quasi svaporato, senza perdere la bussola nell’immenso mare degli
anni bui e luminosi dell’adolescenza e difficili dell’età adulta.
Questi “hub”, questi nodi, sono
centrali e decisivi nello sviluppo di un ragazzo adolescente, dei teen-ager:
fascia d’età dei miei alunni con cui condivido le ore mattutine e anche
pomeridiane in una scuola secondaria di I grado del bellunese.
Il nostro operare nella scuola per
essere centrale, e fare la differenza, deve vestirsi di “Serenità”, anello
indispensabile per agganciare gli altri anelli, gli alunni, e motivarli nell’apprendimento.
Così cerco di vivere le mie
giornate scolastiche: la serenità si trasmette col sorriso, con un buongiorno
detto con convinzione di augurare una buona giornata al tuo alunno; si
trasmette anche rimproverando quello stesso alunno non parlandogli dall’alto in
basso, ma ponendosi sullo stesso fisico piano (in termini di altezza), in modo
tale da poterlo guardare negli occhi, mentre gli si sta dicendo “Così non puoi
continuare…e ti spiego perché”.
Gli occhi sono specchio dell’anima
e porta del cervello: guardarsi negli occhi è come darsi la mano, “io non serbo
armi: sono sincero…sine cera, senza cera, che oscuri il nostro dialogo”;
guardarsi negli occhi determina il fluire di quanto dal “Facilitatore” detto,
senza equivoci da “Piedistallo”, perché il messaggio è condiviso e
sincronizzato (“Stesso tempo…”)
In questo modo il rimprovero non
è un qualcosa di calato dall’alto (in senso stretto e non lato…) ma è un
qualcosa trasmesso mediante sguardo diretto, orizzontale, cercando di sincronizzarsi
sulla sua frequenza d’onda, agganciarsi ad essa
e sperare che il messaggio viaggi in stereofonia: si acquista
autorevolezza in questo modo (pregna di valori condivisi, perché trasmessi da
“occhio ad occhio”) lasciando svanire l’autorità da piedistallo (vuota di
valore).
Così si costruisce una comunità
di persone, che condividono dei valori, che siano fari accesi su un promontorio
verso l’orizzonte e non guasti e privi di luce (morale…etica): una comunità di
compagni, “che spezzino il pane insieme”.
Una comunità non fatta,
pertanto, da persone qualsiasi, ma da persone di cui fidarsi, con cui
instaurare legami sinceri, forti e duraturi.
Legami, che fanno viva
e forte una comunità di cittadini e non di sudditi: perché orizzontalmente
scorre la democrazia.
Chi è l'autore di questo articolo:
Professore di Lettere alla Scuola Secondaria di I grado “Sandro Pertini” di
Ponte nelle Alpi (BL), vivo da sei anni tra le “Scogliere di Dio” bellunesi,
dopo averne trascorsi ventisei nell’Atene delle Puglie, Trani, terra dove mi sono laureato in Lettere
moderne, indirizzo storico-sociale (2005) e ho conseguito l’abilitazione
all’insegnamento (SSIS – Puglia, 2008). Ritrarre
in “scatti di luce” la realtà (Instagram ) e declinarla in
140 caratteri ( Twitter)
sono il modo in cui vivo le humanae litterae del XXI secolo.
[1]
30 ore settimanali (tempo scuola normale) – 36 ore settimanali (tempo scuola
prolungato): si sta parlando di Scuola Secondaria di I grado.
Tutti i contributi su #pedagogiaescuola verranno raccolti qui.
I blog che partecipano:
Il Piccolo Doge
Ponti e Derive
La Bottega della Pedagogista
Allenare, Educare
Nessi Pedagogici
E di Educazione
Bivio Pedagogico
InDialogo
Labirinti Pedagogici
Tra Fantasia Pensiero Azione